Padiglione Italia che riproduce su scala 1/1, un ordinario padiglione tessile di una delle tante aziende che prima c’erano ed oggi non ci sono più. Un’installazione totale che risponde al quesito della sostenibilità, posto dall’inquinamento, dalla pandemia, dalla guerra e tutti gli artisti sono stati precettati a tenerne conto, come tema da svolgere e che tanti hanno svolto con diligenza, come nel caso di Tosatti, Gian Maria Tosatti, per completezza. Con altro, con altri…proprio no, in solitario, con un ripetitivo e monotono seguirsi di postazioni di lavoro, senza persone, nel silenzio che segna il fine orario…la cassa integrazione collettiva, il licenziamento di massa. Poteva esserci altro nel nostro padiglione, ma non c’è, in una totalità depressiva che non ammette altro. Ora io mi pongo la domanda: ti piace…!? Rispondo, che il piacere e il dispiacere, possono essere (e sono) soggettivi, quindi non sono transitivi.
Ha fatto bene il curatore a fare una esposizione totalizzante, totalitaria. E fin qui nessuna questione. Dove non mi trovo affatto è sul tema che è stato scelto, un tema troppo grande e poco coinvolgente della creatività artistica, dopo un già visto glorioso (e lo dico con reverenza) di grandi artisti come Beuys, Christo, i Kabakov, Gilardi, Nitsch, Hirst; c’è dell’altro… certo che c’è, ma non è la retroguardia del già visto, del ripetuto. Mi trovo da un’altra parte e non concordo con l’epigrafe di questa biennale e neanche con la risposta di Tosatti che mi sembra saccente, quando dice che dobbiamo cedere il passo del nostro primato e dobbiamo rivoluzionarci, stando attenti a dove mettiamo i piedi, per evitare di schiacciare anche uno scarafaggio. È un linguaggio indicativo, oppure metaforico, non è chiaro e forse non vuole esserlo. Però in questa occasione, il padiglione italiano, che non ha mai brillato, ora proprio lascia molto a desiderare.
KLESSIDRA | A CURA DI FRANCESCO GALLO MAZZEO