Habemus pontem. Possiamo dirlo. Possiamo gridarlo. Finalmente è la volta buona, per passare dalle parole ai fatti e dare il via al ponte che congiungerà la più estesa regione d’Italia, alla penisola e al continente europeo, rompendo un isolamento che non fa bene a nessuno, interrompendo una connessione viaria, ferroviaria e speriamo anche pedonale che fa gioire solo i pigri amanti delle piccole cose, senza contare che sono le grandi strutture che fanno grande una nazione. Il popolo di architetti, di ingegneri, di muratori, di carpentieri e aziende capaci di fare magna pars del raddoppio del Canale di Panama, in quello di Suez, di costruire in un anno il Ponte San Giorgio di Genova, non possano far valere la loro qualità, il loro stile, a casa nostra. Di una storiella del ponte, ne sento parlare dagli anni settanta, quando si tuonava contro l’Autostrada del Sole (che non sarebbe servita a niente, dicevano…) e poi ogni volta, con una scusa o con un’altra, si dava uno stop, fino quasi a cancellare non solo progetti e appalti, ma anche l’idea stessa del Ponte.
Dicevano i ben altristi e i ben oltristi che c’era altro da fare, che c’era oltre da fare, cioè piccoli rattoppi, manutenzioni e i “soliti” ospedali e asili nido, senza contare che siamo un grande paese, industriale, agricolo, tecnologico, poetico, artistico, che non può e non deve dismettere di essere Leonardo, per essere Parmigiano Reggiano, che bisogna essere l’uno e l’altro. Ricordiamoci dei grandi acquedotti romani, del Colosseo, della Cupola di San Pietro; è questo che fa la nostra storia, storia grande, di primato orgoglioso, pronto a competere con i primati degli altri paesi, in concorrenza d’ingegni e meraviglie. Una volta dissi in una mia conferenza, che senza un Bernini non nascono i Serpotta e i Gagini. Chiamerò Bernini, il ponte.
KLESSIDRA | A CURA DI FRANCESCO GALLO MAZZEO