Un mese rosa, questo settembre, per l’arte moderna, che alcuni si sforzano di distinguere da quella detta contemporanea. Mentre si tratta di arte moderna e basta, perché il termine contemporanea, non è cronologico e differenziante, ma acronico, che conferma delle
affinità elettive. La contemporaneità non è affatto la modernità più vicina a noi; quella semmai è l’attualità, che è un’altra cosa, perché come ci ha detto, l’insuperato Benedetto Croce, tutto può essere contemporaneo, anche ciò che è lontanissimo nel tempo, basta che sia
desiderante, innamorante, affettivo. Nella dolce morsa di Photo London, di Londra e di Harmony Show, di New York, precedenti , di poco e di Art Basel, seguente di poco, Miart 2021, della fulgente Milano torna a mostrare arte in presenza, senza mediazione video, affermando un valore plastico, visivo, olfattivo, gastrico, tattile, che è ineliminabile, in una matericità fatta artefice di vita immaginaria.

Una evidenza, di vita e di vitalità, che contraddice, un ripetitivo pessimismo di certi nostri connazionali, che vedono grandi, gli altri e noi, piccoli, piccoli sempre più piccoli. Centoquaratacinque gallerie, che si contendono un primato del visibile, che non è una gara a chi arriva prima, ma un’alta dimostrazione d’ingegno, che c’è, indiscutibilmente. In cinque sezioni, altamente pedagogiche e didattiche, Established Contemporary, Established Masters, Emergent, Decades, Generation, si espande tutto un universo di opzioni, stili, tendenze, poetiche, che è fatto per attrarre (e ci riesce) una moltiplicante fascia di interesse e di collezionismo, proveniente da latitudini e longitudini diverse, in una kermesse, capace di confermare, Merz, Bonalumi, Rotella, ma anche di promuovere, tutto un universo giovanile, tipo, Romina Bassu, Troy Makaza, Andrés Pereira Paz; insomma, un bel girotondo, tondo.

KLESSIDRA | A CURA DI FRANCESCO GALLO MAZZEO