La morte di Arata Isozaki, allontana sempre più il nostro, vissuto, novecento e sempre più ci congiunge e ci immerge nella misteriosa cronologia e nella neolingua inventiva e tecnologica del veloce duemila, ormai incamminato nel terzo decennio. Inevitabile timer dello scorrere del tempo, che porta via il presente, noi, le persone e le cose e ci introduce, sempre più, ad un futuro, che ormai, tra vertigini, scatti in avanti, innovazioni, furori e crisi, sconforti, pessimismi, si configura come un enigma, che trasforma il vecchio ed esausto concetto di individualità e richiede un nuovo concetto di personalità, capace di conservare, tanto, se non tutto, di memoria dell’accaduto e aprendo le porte ad un accadere che scolora le somiglianza della storia, prendendo le sembianze dell’imprevisto. Ogni certezza dura poco, decade in vista di una certezza successiva ed alcuni percepiscono questa situazione come un pericolo ed una perdita, mentre altri, non sottovalutando né l’una né l’altra e la scelgono come opportunità, fantasia, sperimentazione, innovazione.
A questo incipit mi somiglia il ritratto metaforico di questo grande giapponese (1931-2022) morto in corpo, ma permanente in spirito e opere, capace di sorprendere per la sua qualità nel coniugare il sublime oriente con la razionalità occidentale, quasi a confermare il bisogno di andare verso l’infinità che si pone oltre la linea d’orizzonte, ma mettendo i piedi sul qui ed ora. Il progetto per gli Uffizi di Firenze, il grattacielo Allianz di Milano, esempio, rendono conto di una cifra stilistica aperta su un’architettura di logos e topos, equilibrando, ora sull’uno, ora sull’altro, in maniera duttile, malleabile, come deve essere l’idealità di una progettualità, che si concepisce come arte e non come mero gioco di utilità. In questo senso, il suo essere archistar, è pienamente vissuto e pienamente tradotto in opere che sono polisemiche, attrattive, desideranti. La scia di Isozaki è quella di Hadid, Libeskind, Piano, Fuksas, personalità geniali che “creano” linguaggio, inventano geometrie impreviste, mentre sanno dialogare con la scienza della leggerezza e la forte possanza dell’ingegneria, facendo sì che riesca a volare, anche ciò che non può e non deve volare, se non con fantasia e dedalo. Grazie Arata!
KLESSIDRA | A CURA DI FRANCESCO GALLO MAZZEO