“Sedulo curavi. Humanas actiones non ridere non lugere neque detestari sed intelligere”. Si tratta di Benedetto Spinoza, che dal 1670 consiglia di non ridere delle azioni umane, non piangerne, né detestarle, ma comprenderle. Io lo applico ad Hermann Nitsch (e lo applico sempre, a tutto, nel positivo e nel negativo); certamente è sempre possibile un margine di errore o di debolezza interpretativa, ma questa è nel conto. Quello che è certo e che, le arti visive, che dopo le avanguardie storiche, cubiste, dadaiste, non possono essere rispecchiate criticamente, né analizzate clinicamente, col principio di bello e di brutto, orizzontale o verticale, monofocale o multifocale, bensì, con quello comprensivo, prima (quindi molto più che apprensivo) e poi con il derivato applicativo dell’emozione, del piacere, del dispiacere. Lo dico da quando qualcuno mi pose la domanda, furbetta, sulla merda di artista di Piero Manzoni, pensando di fare bella figura… ma non la fece.
Vengo a Nitsch. La mia immersione fisica, emotiva, linguistica, filosofica (…sì filosofica…) avvenne nel Museo Nitsch di Beppe Morra a Napoli; fu uno sconvolgimento, una discesa agli inferi ma poi una risalita a rivedere le stelle. Una partenza dalle viscere, del sentire fisico, in un seguito di sangue, sangue, sangue, fatto di exiti di azioni catartiche, di “orripilanti” macellazioni di ritualità mimetiche, da post teatro della follia, in un continuum, che è discesa e perdimento nell’enigma della morte. Un lavacro abissale, a rasentare il bene e il male e oltre, oltrepassarli, in un festival del sacro etimologico, per poi annusare, annusare, annusare, toccare, toccare, toccare e vedere, vedere, vedere. Che dire… uno specchio profondo di tutti noi stessi, lettori di Masoch, De Sade, ma anche di Calasso e Santillana. Addio H.N. Ma resti con noi!
KLESSIDRA | A CURA DI FRANCESCO GALLO MAZZEO