Conosco Omar Galliani dai primi anni ottanta, da quando nell’ambito di una corrente dell’arte italiana,si impose come protagonista della ripresa in chiave moderna, di moduli della variegata arte colta, proveniente dal grande disegno, dalla aulica pittura, in commistione alta di manierismo e nuovo settecentismo, affermando il diritto dell’arte del nostro tempo, ad essere ispirata da una acronia di continuità con un passato mai passato, ma ancora contemporaneo; alcuni, in vena di frettolosa definizione, lo chiamarono momento citazionista, colto, manierista, mentre, in maniera più complessa e ricca di implicazioni formali e contenutistici, affermava una linea della originalità, pre-impressionistica e pre-avanguardie storiche. La stessa che aveva ispirato Michelangelo a ritenere completo e non rudere il Torso del Belvedere e Canova a rifiutare l’invito di Lord Elgin a rifare le parti mancanti del frontone del Partenone. Si trattava, chiaramente, di una posizione che senza negare la portata storica delle avanguardie, riteneva di aggirarla sulle orme dei disegni del Pontormo o della pittura di Rosso Fiorentino.

Classicista, si può dire, certamente, con un contorno creativo di preraffaellismo, in una portata multi speculare, che è appunto eclettica, come lo erano stati, Felice Casorati, Achille Funi. In questa avventura, Omar Galliani, s’è trovato accanto figure come Carlo Maria Mariani e Alberto Abate, per percorrere una sua personale via di tutta qualità, votata all’originalità e mai alla ripetizione. Nel volgere degli anni, le sue forme si sono trasformate, seguendo lo svolgersi di un suo monologo interiore, che è diventato gioco d’immaginario, ora con momenti di alta calligrafia, ora con momenti di gestualità libera, passando da una forma di figura a un’altra di astrazione, in una linea di “tizianismo” basata sul primato del colore, nella sua specifica esaltazione della visibilità.
Si deve ad Omar Galliani, una specifica sapienzialità della grammatica e della sintassi, di pittura e disegno, ma senza accademismi e senza folclorismi, con una squisitezza di libertà, da vero protagonista, che segue tutti e non segue nessuno, in quanto procede con una sua cartografia immaginaria che prende corpo a poco a poco, come un fluire dall’invisibile al visibile, che viene fuori lentamente, a comporre, ogni volta, una alterità, mettendo insieme una molteplicità, di componenti di un organismo enigmatico, che non finirà mai di avvolgerci e affascinarci!

KLESSIDRA | A CURA DI FRANCESCO GALLO MAZZEO