Ormai lo chiamano tutto il Grande Cretto e basta, per riferirsi all’opera realizzata da Alberto Burri a Gibellina, sopra i resti della vecchia cittadina distrutta dal terremoto, detto del Belice, nel lontano 1968 e ricostruita a valle, chilometri più lontana, non più montana, dunque, ma pianeggiante. La nuova città, dopo tanti stenti e rinvii, lungaggini, ha preso forma di luogo d’arte per eccellenza, dove si sono esercitati, fior d’artisti e architetti, facendone una meraviglia, che riscatta tanti luoghi comuni sull’arte del nostro tempo, che sarebbe autoreferenziale, del tutto anti-architetturale, autocostretta alla reclusione in case e musei. Si entra nella N.G., passando sotto una grande stella, di misure gigantesche, opera di Pietro Consagra… e il passaggio è tutto un programma, che vede ancora Consagra in un grande palazzo che imita le onde sismiche e in recinto di cimitero e troviamo Schiavocampo come Cappello, Simeti come Paladino, Pomodoro come Carla Accardi, con tanti altri come Romano e Leto, in opere disseminate nel tessuto Urbano, per opera di Ludovico Corrao e del suo vice Giulio Ippolito.
Corrao, raffinato e colto politico, diventato sindaco, non già della ricostruzione, ma della costruzione del nuovo, con arte e musei, teatri e cattedrali e una fondazione, chiamata Orestiadi, a partire da una Orestea, in lingua siciliana, di Emilio Isgrò. Una grandiosa opera di città utopica, come ne sono state pensate e realizzate nel rinascimento, da Pienza a Sabbioneta, da Sforzinda a Mesola. La rovina del terremoto, inerpicata e tortuosa, ma carica di ricordi e di storie, povera ma bella, è rimasta incastonata in una ciclopica opera d’arte, di 94mila metri quadri, in una gigantesca colata di cemento, che paradossalmente metafisica, mima strade e piazze che c’erano una volta, generando un dedalo di provocata craquelure, in un labirintico ambiente, entro cui ci si perde, per poi ritrovarsi da una parte all’altra. Dal male, dalla morte, è nata una moderna piramide, che racchiude echi e racconti di tanta gente che lì è vissuta, lì è morta, ma con questo monumento, che non è assolutamente funebre, torna a vivere.
KLESSIDRA | A CURA DI FRANCESCO GALLO MAZZEO