Manhattan è un’isola. E questo nessuno lo può negare perché lo dice la geografia. È il cuore della Grande Mela. Fino a poco tempo fa tutti gli occhi del mondo erano puntati su di essa, adesso un po’ meno. Ma non perché essa sia diminuita, bensì perché altri ambiscono ad esserle pari, oppure a superarla. Ma fino ad adesso, nessuno c’è riuscito (come per la Biennale di Venezia, che lì era e lì è rimasta, numero uno). Tutto il tempo, che dalla seconda guerra, ad oggi, nonostante, insidie e detrattori, è accaduto: New York si chiama e non altro. Action Painting, Pop, Fluxsus, vi è nato e cresciuto, andando poi, per il diverso mondo. Cosa sarebbe il tutto, senza Pollock, Oldenburg, Maciunas, sarebbe un incompleto. È vero, la mappa si è ampliata e questo è un bene, perché vuol dire che il dialetto è diventato lingua e il particolare, generale. Le nascite artistiche stravolgenti sono diminuite, è vero, a causa dello sbalordimento che sta cogliendo noi tutti, la dirittura è diventata zig-zag, la mappa si è scolorita e l’erranza si è moltiplicata.

Ricordo che Giotto, illo tempore, tra il nuovo e il vecchio, scelse l’antico; non lo dico come metodo, ma come esempio da ricordare. In questa calda estate, preludio ad un meteo infuocato e, senza mezze stagioni e con poco inverno, è morto Claes Oldenburg, inventore di una bella, piacevole, metafisica del quotidiano, facendo elegia dei fatti e degli oggetti correnti. È un protagonista del pop, con la sua antenna nella società dei consumi, nella sclerosi di tutti i linguaggi altri (una sorta di neo-impressionismo ed espressionismo, insieme). Fondendo l’alto col basso, il retro con verso, in un nuovo barocco, dell’usa e getta, in uno scorrimento della cronaca rosa, in sculture, pitture, performance, sulla scia di Duchamp e Dubuffet, ma soprattutto di se stesso, in compagnia di Warhol, Lichtenstein, Rauschenberg, J.Johns. Un bel giro tondo. Un bel giro!

KLESSIDRA | A CURA DI FRANCESCO GALLO MAZZEO