Abolire le auto di lusso. Abolire gli aerei privati. Abolire le grandi, imbarcazioni da diporto. E si può andare avanti all’infinito, sempre. I pauperisti di tutti i tempi (almeno quelli di cui abbiamo notizia e memoria, da Dolcino a Savonarola, fino ai teorizzatori, attuali,della decrescita, detta felice…) sostengono che sia meglio essere poveri, che ricchi, avere boschi e selve, piuttosto che campi coltivati (e noi in italia, abbiamo sia gli uni che gli altri) cinghiali in città, gabbiani, fiumi in piena, piuttosto che canali di irrigazione, con un crescendo di dogmaticità che rasenta l’apocalisse. Quasi che la colpa nostra, di noi umani, fosse di esserci, a dispetto di tirannosauri estinti e serpenti velenosi, sempre vigenti. In questi giorni i media (non i midia) stanno tambureggiando contro i ricchi, contro gli opulenti, contro tutti coloro che mangiano caviale e bevono champagne; a leggere Serge Latouche ( ho in mano il suo Usa e getta ) sembra una elegia della povertà, dell’Arcadia e si arriva fino all’Eden. Si tratta di una querelle senza senso, già anticipata dalla polemica francese del ‘700 sul lusso come fonte di corruzione, di depravazione. Io sono, assolutamente a favore del lusso, della ricerca, della sperimentazione, dello spreco!

Voi mi direte, perchè? E vi rispondo subito. Perché sono convintamente moderno, aperto, quindi per il benessere, per la cultura, per l’arte e per ogni arditezza formale, sia essa la tavola con i resti alimentari di Spoerri, che le macellazioni di Nish, per non parlare della merda d’artista inscatolata di Manzoni, ma non disdegno Carlo Maria Mariani, Salvo (chi se ne ricorda…) Francesco Clemente. Amo le Ferrari, le Lamborghini, gli ori di Lee Byars, i gioielli di Bulgari,gli orologi di Ulysse Nardin e tutte quelle cose che fanno grande il genio umano che altrimenti sarebbe inutilizzato, oppure sprecato nello standard, nella ripetizione banale, nell’economico senza stile, nel nazional popolare. Il lusso (pur nelle deprecabili disparità che esalta) è l’avanguardia dellciviltà, il punto di sfondamento del luogo comune, verso l’ignoto, il fantastico. Senza avanguardia e ricerca, tipiche della modernità (che c’erano anche prima, anche se non si definivano tali, da Ipazia ad Archimede, da Antonello a Caravaggio ) non c’è progresso, non c’è originalità e allora, accogliamo con gioia degli occhi e della mente anche ciò che non possediamo, noi stessi, direttamente. Nuovi potlach? Si, siano benvenuti, se fanno fluire a tutti l’energia affluente. Ricca e Bella!

KLESSIDRA | A CURA DI FRANCESCO GALLO MAZZEO