Ho frequentato per tanto tempo, negli anni ottanta e novanta, in ambiente Mario Bellini, Italo Lupi, circondati da uno stuolo di amici comuni, architetti, designer, industriali, politici, banchieri (insomma una élite) in cui si discuteva di tutto; un modo leggero di essere classe dirigente, in cui gli uni non parlano sempre con gli uni e gli altri con gli altri, rompendo, così, un corto circuito, che in tutti gli ambiti si fa sempre più stringente e asfissiante. Ricordo un grande industriale (di cui taccio il nome, che non mi sfugge affatto) un costruttore di televisori, di bassa tecnologia e di pessimo design che allora andavano bene e vendeva 10 milioni di pezzi l’anno (almeno così diceva) ed io gli dissi che poi, non prima, il suo destino era segnato e che sarebbe fallito, perché un paese come l’Italia non può vivere di grossi volumi di bassa gamma, ma solo di prodotti di altissima gamma, sofisticati e altamente stilistici, di design di frontiera, insomma avveniristici, da Montenapoleone o Frattina, sia dentro che fuori.