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Klessidra | Lupi. Design. Pedagogia. Estetica.

Ho frequentato per tanto tempo, negli anni ottanta e novanta, in ambiente Mario Bellini, Italo Lupi, circondati da uno stuolo di amici comuni, architetti, designer, industriali, politici, banchieri (insomma una élite) in cui si discuteva di tutto; un modo leggero di essere classe dirigente, in cui gli uni non parlano sempre con gli uni e gli altri con gli altri, rompendo, così, un corto circuito, che in tutti gli ambiti si fa sempre più stringente e asfissiante. Ricordo un grande industriale (di cui taccio il nome, che non mi sfugge affatto) un costruttore di televisori, di bassa tecnologia e di pessimo design che allora andavano bene e vendeva 10 milioni di pezzi l’anno (almeno così diceva) ed io gli dissi che poi, non prima, il suo destino era segnato e che sarebbe fallito, perché un paese come l’Italia non può vivere di grossi volumi di bassa gamma, ma solo di prodotti di altissima gamma, sofisticati e altamente stilistici, di design di frontiera, insomma avveniristici, da Montenapoleone o Frattina, sia dentro che fuori.

Klessidra | Alfredo Romano. “Povero”. Colto. Surreale.

Alfredo Romano, mio amico, da sempre, rappresenta la generazione più giovane, dell’arte che ha avuto ( e continua ad avere) testimoni perenni, in Mario Merz, Michelangelo Pistoletto, Pier Paolo Calzolari, nella loro strutturalità, nuda, quanto colta e sapienziale, corrispondente ad un continuo farsi e disfarsi del linguaggio artistico, toccato dalla dialettica di eros e thanatos, non nella versione freudiana e junghiana, ma in quella della fenomenologia dell’accadere, che è innanzitutto commedia e tragedia, mischiate insieme, che intrecciate fanno groviglio, in cui coesistono, l’arcadico e il barocco.

Klessidra | Vangi. Fantastico. Reale. Onirico.

Come Francis Bacon ha stravolto la maschera della persona, facendola diventare una poliedrica forma del volto dell’anima, allo stesso modo (ma con esiti oppositivi) con cui Bernini stanò il volto di Luigi XIV, il senso etrusco di Giuliano Vangi (1931-2024), ci ha dato l’idea astratta dell’essere umano; non di questo o di quello, ma della sua matrice alata, persa nel nulla. Ma è appunto per questo, che ci rimanda ad un senso dell’infinito, di un’essenza profonda che si specchia nello sguardo svanito e con esso fa enigma, che è senza tempo, frutto di una acronia immaginaria, capace di scavare nella pluralità cinetica delle forme della vita, cercando una unità che non si lascia mai raggiungere, ma è come una sirena ammaliatrice, che tenta e che attrae irresistibilmente.

Klessidra | Cini. Boeri. Ori. Colati.

Avrebbe compiuto, ora, i suoi cento anni, ma ha preferito andarsene a novantasei. Con la grazia, lo stile, l’eleganza, di sempre. Cini Boeri, con
l’abitudine, tutta milanese e lombarda, di darsi un nomignolo per nome, a posto del suo Maria Cristina, che pure non è male. Con questo nome e cognome da apostata, è diventata una icona. Cini Boeri. L’ho conosciuta e incontrata durante gli anni ottanta e novanta, quando il suo incanto era ad un massimo della sua espressione, capace di dare spessore alla labilità e rendere in grazia ogni strutturalità.