Come Francis Bacon ha stravolto la maschera della persona, facendola diventare una poliedrica forma del volto dell’anima, allo stesso modo (ma con esiti oppositivi) con cui Bernini stanò il volto di Luigi XIV, il senso etrusco di Giuliano Vangi (1931-2024), ci ha dato l’idea astratta dell’essere umano; non di questo o di quello, ma della sua matrice alata, persa nel nulla. Ma è appunto per questo, che ci rimanda ad un senso dell’infinito, di un’essenza profonda che si specchia nello sguardo svanito e con esso fa enigma, che è senza tempo, frutto di una acronia immaginaria, capace di scavare nella pluralità cinetica delle forme della vita, cercando una unità che non si lascia mai raggiungere, ma è come una sirena ammaliatrice, che tenta e che attrae irresistibilmente. Lo si può definire espressionista, nella sua linea di continuità che viene da Arturo Martini, dalla singolarità della sua Amante Morta, che non si rivolge a nessuno, non guarda da nessuna parte, ma nella sua “missione” ispirativa” ci riguarda tutti, ognuno con la propria particolarità.

Perché, in fondo, tutti ci somigliamo, ma non lo capiamo subito, in quanto siamo presi dalle simpatie e dalle antipatie, lo capiamo dopo, quando le emozioni e le sensazioni sono sopite. Proprio con la stessa differenza che c’è tra la cronaca e la storia, quando ciò che sembra importante nell’oggi, sembra una banalità nel domani. Vangi opera in una particolare metafisica, immaginaria, fantastica, surreale, con la sua capacità di escludere il clamore e il rumore, per concentrarsi nel silenzio, che è in reale, tutte le voci, un grande coro, dove l’uno coincide col cosmo. Nella sua scultura si trova una qualità di introspezione, che quella della forma sospesa, sognante, stralunata e nel suo senso etimologico di astrazione, che somiglia a quella astrale, monadale, solitaria, autoreferente. Questa è la sua scultura “figurativa”, una approfondita indagine sulla estetica dei corpi, che sono, già, di per sé, un linguaggio primordiale, quello che subisce l’ingiuria del tempo e delle sue mode espressive, ma poi con un terremoto mentale, ripristina lo statu quo ante, capace di attraversare la tragedia, la morte, ma poi come la fenice, rinascere.

KLESSIDRA | A CURA DI FRANCESCO GALLO MAZZEO