Santiago Calatrava, spagnolo, super architetto, che in Italia è noto per realizzazioni fascinose, eccitanti, come la Stazione di Reggio Emilia e il Ponte omonimo, il Porto della Marina di Arechi e non ultimo, il suo progetto per l’Università di Roma, si propone a noi, per una mirabolante interpretazione della Chiesa di San Gennaro a Napoli, prospettandone una vera rinascita, che fa dialogare il grande ieri, con il grande oggi. Fuggo dalle radicali polemiche veneziane, sul ponte minimale e geniale che attraversa il Canal Grande, che sono la testimonianza di un conservatorismo, banale, arrogante, che non sa fare i conti col passato e si ritaglia un presente mediocre, puntando sul dito e non sulla luna, che esso indica. Insomma, s’è capito, Calatrava mi piace, come Zaha Hadid, Libeskind, Piano, Isozaki, Botta. A Napoli, di fascino universale e problemi millenari, propone una straordinaria lettura, attualizzante del Barocco di Capodimonte, donando un apparato teatrale, che suscita vita e vitalità, esaltando storia e tempo presente.
Restauro di tutto, dall’organo alle campane, in un inno alla straordinaria abilità dell’artigianato e delle tradizioni locali. Una parte permanente e una parte teatrale, per Santiago Calatrava. Nella luce di Napoli.
Un barocco a trecentosessanta gradi, dalle vetrate al soffitto, alle nicchie, alle porcellane, con un arricchimento che fa comprendere meglio il suo mistero e la sua indicibile sublimità. Pareti e soffitto in blu oltremare e poi in tutto, di tutto, in “un concetto globale, in cui le diverse parti; porcellana, tessitura, smalti, pittura, convergono in un’opera autonoma” , che parla molte lingue, quelle della tradizione aurea e quelle dell’innovazione di grande ardimento.
Perché il genio può (deve) stare col genio.
KLESSIDRA | A CURA DI FRANCESCO GALLO MAZZEO