Il mondo delle torri, con sottotitolo “da Babilonia a Manhattan”, mi ha legato, per questa pubblicazione edita da Mazzotta, con copertina di Armando Testa, a Paolo Portoghesi, a Gillo Dorfles, a Paolo Farina. Era il 1990. Un bell’anno per me. Gli incontri con la sua architettura e con la sua propensione per artisti, a me cari come Carlo Maria Mariani e Alberto Abate, ci hanno fatto dialogare sulla moschea di Roma, sul teatro di Catanzaro, sulla sua concezione del post moderno, sulla strada novissima e sul teatro del mondo (di Aldo Rossi) nelle acque della biennale veneziana; senza rispettare la cronologia a partire da quella del Borromini, che abbiamo condiviso come inizio della consapevolezza di un barocco eterno, che non è quello fotografico o tradizionalista del come è bello, com’è stupendo, ma dell’avere decretato la fine di ogni monologia e la moderna concezione,che poi è antica, quanto il Corpus Hermeticum di Ermete Trismegisto o i riferimenti Post azimutali del Kibalion, per cui “ciò che sta sotto, sta sopra, ciò che sua dentro sta fuori a destra e a sinistra” si equivalgono nello spazio infinito.
Oggi siamo in un grande barocco, tipico della modernità, che è eclettica per eccellenza, in cui convivono tutti gli stili storici (non più considerati vecchi, ma antichi) con quelli più attuali, più avveniristici, per cui non c’è più l’ormai avanguardistico ma l’anche e non in nome di una post verità, che appastella tutto, il bene con male,il vero col falso,ma in nome di una continua ricerca, che vede tutto nell’uno e l’uno nel tutto, contemplando (pirandellianamente) un uno, centomila, scartando il nessuno, in nome di un pluralismo, per cui l’errore non è peccato, ma un indispensabile zeppa, nella ricerca e infinita contemplazione.
KLESSIDRA | A CURA DI FRANCESCO GALLO MAZZEO