Anche Marzamemi, per la verità. E Palazzolo Acreide per tangenzialità. Ma perno su Siracusa, tra Palazzo Vermexio e Tempio di Atena, diventato quasi intatto, Santa Lucia, più facciata barocca. Così, a bocce ferme, dopo qualche settimana abbondante, di pausa dell’evento, ne scrivo con grande gioia. Domenico Dolce e Stefano Gabbana, appartengono al genere olimpico, quello in cui possono stare in pochi, con Versace, Valentino, Armani, con antesignane le Sorelle Fontana. Perché non seguono schemi, li dettano, li interpretano, con forza, con entusiasmo.
Non derivano alla maniera di nessuno, ma inventano, da tutto e da tutti, con risultati emozionanti, esaltanti, tanto che mi vie di rubare a G.B. Marino, che “è del poeta il fin la meraviglia”, tante sono le trovate, che lasciano sospesi e affascinati.
Da sempre, da quando sono nati (e me li annunciò Ferdinando Scianna, con un’affascinante calza nera che, avvolgeva, invece di esserne avvolta, una scatola grezza, qualsiasi…) sono espressione di un ventoso genius loci, che ha casa nel mito, nelle feste, negli spettacoli, nel folclore, di una Sicilia, tanto reale quanto fantasma, in anabasi di una sofferta scalata tra amor profano e amor sacro e amor profano, in eterna querelle in metafora, del bianco e del nero e dei più minacciosi e accesi colori. Luglio 2022, nel luogo di Archimédes, di Mithekos, Bakhilides, s’è svolta una scena di affinità elettive, in cui Apollo s’è vestito Dionysos e viceversa, un po’ e un po’, salendo e scendendo, da una imponente scalera, di legno bardato a scena e hanno animato sogni e desideri, portando l’amore del bello, come dono di nuovi magi. Tagli e cuciti, porpore e scialli, nudi e vestiti, di un travestirsi di veneri, latone, narcisi, circi, vedove bianche, mantelli da Ciccina Circè, odissee di Ndria Cambria.
Lucifer dico qui nescit occasum… Joyce.
KLESSIDRA | A CURA DI FRANCESCO GALLO MAZZEO