In apertura voglio dirlo. Amo il bel vestire, amo il bell’abitare, amo il bel viaggiare, amo lo stile, amo la classe, la distinzione, la ricercatezza e tutto quello che fa da corollario, come la cucina (a partire da quella multiforme del bel paese). Da studioso dell’arte, quella pure e quella applicata, quella attuale e quella storica, sono per la cultura, la trasformazione, l’esperimento.
Ma. Contemporaneamente. Sono per la conservazione della foresta amazzonica, così com’è, come sono per l’esaltazione di Bomarzo e di Pratolino, del Parco di Caserta e della Venaria Reale di Torino; così come sono per gli stambecchi del Gran Paradiso e per il rombo delle rosse del cavallino rampante. Contraddizione? No! Dialettica dell’ingegno e del lavoro umano, del preservare e dell’innovare, quindi contro lo spreco, il consumismo e la messa sotto tappeto della polvere e dei rifiuti tossici nella terra dei fuochi.
In Cile, nel Deserto di Atacama, c’è una discarica di tessili, accatastati all’aria aperta, in attesa che si decompongano, cosa che avviene in 200, dicasi 200 anni e quindi volumi su volumi., degrado su degrado, di un fast fashion screditato che porta in questa terra di incredibile bellezza, indumenti di passate stagioni e di seconda mano, che nessuno vuole, neanche per riciclarli, perché costerebbe troppo e meglio fare del nuovo, che poi farà la stessa fine. La bulimia del sempre di più, sempre di più porta all’orrore del produrre per la discarica, che è un controsenso, ma è il senso del delirio, di mettere una scadenza a tutto; ogni etichetta ha una scadenza e se questa non basta i persuasori occulti, multimediali faranno il resto di far (ti) odiare, ciò che è ancora buono, utile, economico, ma deve andare via in fretta, senza dare il tempo ad una circolarità sostenibile, di fare quello che nei secoli scorsi ha fatto di Prato (nella nostra Toscana) di cenci, d’oro!
KLESSIDRA | A CURA DI FRANCESCO GALLO MAZZEO