Si chiama “London Calling: British Contemporary Art Now”, con 30 opere di 13 artisti, operanti a Londra, sin dai primi anni sessanta. Testimonianza viva dell’attualità, della capitale britannica, nel sapere attirare creativi da tutto il mondo, del farli sentire in un luogo magico, dove tutto può accadere e poi farlo accadere davvero.

Questo vuol dire giocare il ruolo metropolitano, dominante ed egemonizzante;
vuol dire riuscire a trasformare “alchemicamente”, la quantità in qualità, facendo di individui normali e destinati ad una biografia qualunque, dei protagonisti, attraverso tutto il funzionamento del sistema dell’arte, che è piramidale, con base relativamente larga e poi a rastremare fino ad una punta e questa è Londra, insieme a New York, con altri coprotagonisti a Colonia, Dusseldorf, Francoforte, Parigi, Milano, Roma; ma niente di paragonabile alle due sommità. I nomi dei presenti a Roma, sono i notissimi David Hockney, M. Craig-Martin, Sean Scully, Tony Cragg, Anish Kapoor, Julian Opie, J. e D. Chapman, Damien Hirst, Matt Collishaw, G. Perry, Y. Shonibare, I. Khan, Annie Morris.

Che altro dire, se non che siamo in pieno eclettismo, dove tutti fanno tutto, perché non c’è un linguaggio dominante, ma un rigoglio in cui le regole sono tante, quanti sono i geni che le inventano, senza badare alle grammatiche e alle ortodossie, perchè sono loro che le determinano. Poi, è chiaro, che nel mondo ci sono tante originalità (ricche e povere, originali o ripetitive) con l’illusione di poter reggere il confronto, ma non c’è dubbio, che il gioco sia duro e questi, anche questi, sono i duri che insieme a fascinosi mercanti, galleristi, collezionisti, direttori di musei, fondazioni, case d’asta, determinano le maree, i flussi e i riflussi. Questa “London”, non è tutto, ma è un aleph.

KLESSIDRA | A CURA DI FRANCESCO GALLO MAZZEO